Lui mette tutto sottosopra

Non ne sono sicuro. Ho sentito il buon Dio sussurrarmi:
Per essere vero e perché tu viva bene, è necessario che tu sappia che mi piacciono poco le persone sapienti. Cerca di capire ciò che voglio dire: le persone che si credono sapienti. Chi obbedisce a quanto immagina essere un mio ordine senza mai porsi delle domande, chi crede a tutto ciò che gli si dice senza sforzarsi di capire,
chi ha paura della rivolta e delle contestazioni, chi va scrupolosamente al passo, chi cede
sempre passivamente, chi ritiene di fare tutto bene, chi non vacilla mai, chi non si indigna
perché pensa che non va bene. Sono così tanti! Non mi piacciono neppure – anche se dovrebbero- quelle persone serie che mi sorridono come vecchie zie, che camminano in chiesa con passi felpati nel timore di svegliarmi. E compiango di cuore tutti coloro che credono di farmi piacere sacrificandosi.
E per dirla tutta, non sono a mio agio con le persone troppo pie e con i “signorsì” che si
impregnano di devozione. Non sopporto che si strisci davanti a me pancia a terra e che si dica con frasi fatte quanto si crede di dover dire per rispettare le regole. Tutti questi si ritengono sapienti, ma in realtà sono degli sciocchi. Allora, sveglia ragazzo mio.

La sapienza che condivido senza calcolo con chi si abbandona -dice Dio sorridendo- è un
piccolo seme di follia. Devo ammettere che ho sempre amato la fantasia.
La sapienza che io amo, è cambiamento. È follia… Ha il colore della pasqua.
lo metto tutto sottosopra…

Questa parola udita nella mia notte trova conferma quando, in pieno giorno, mi immergo nella Bibbia. Non era un sogno. Lo sanno tutti: Dio si compiace di mettere tutto sottosopra, da sempre. Tutta l’avventura del popolo di Israele lo testimonia. Egli è sempre sconcertante, sempre altrove da dove lo si attende. Dio sempre Altro. Si dice
che è proprio questo il segno della sua santità.

 

Decide di farsi conoscere dagli uomini che crea giorno dopo giorno? Mette gli occhi su di un clan di nomadi: avrebbe potuto scegliere un popolo più illustre! Abramo, il capo di questa tribù, aspettava una mappa, progetti da realizzare e forse anche obiettivi da raggiungere: si dice che Dio gli chieda solo di lasciare il suo paese. Letteralmente si limita a dirgli: “Vattene… verso la terra che io ti indicherò” (Gen 12,1).
Affinché questo clan diventasse un popolo, era necessario che Abramo avesse una discendenza: è quasi centenario quando sua moglie gli dà un figlio, mentre lei ha appena 90 anni (cf. Gen 17,17)! Se questo racconto della Genesi può farci sorridere, dice che fin dal principio Dio mette sottosopra tutto ciò che si pensava.
Quando dal punto di vista umano sembra tutto perduto, Dio passa. Porta la vita e quelli che si abbandonano a lui e sono considerati folli dai loro contemporanei diventano, con stupore, una benedizione per altri.

Alcuni secoli dopo, prosegue la Bibbia, il popolo ebraico che si è costituito si ritrova in Egitto, sotto il dominio del faraone, ridotto in schiavitù. Eppure non era questo l’avvenire che Dio gli riservava! Nella sua “sapienza” Dio sceglie un balbuziente per negoziare una soluzione con il faraone, ma questi rifiuta. Una notte, racconta con enfasi l’autore del
libro dell’Esodo, Dio apre il mare: niente di più semplice! Tutti gli ebrei scappano, gli eserciti egiziani li inseguono. Il popolo passa, dietro di lui i flutti si rinchiudono: i carri del faraone vengono inghiottiti. Il popolo è liberato, il suo avvenire si apre. Ha inizio un lungo esodo: Dio fa cadere dal cielo delle quaglie e crescere nel deserto un cibo in forma di domanda, una manna, un “cosa è?”.
In questo nostro tempo, la manna spunta in gran quantità: voglio dire che le domande sono molto più sostanziose delle risposte. Colui che pensa di poter rispondere chiaramente alle domande che si pone su Dio e sulla vita può essere certo di aver ricevuto spiegazioni sbagliate!
Le storie del popolo eletto, ora stravaganti ora ridicole, sono molte. Dicono la strana relazione che si costruisce tra gli uomini che cercano di sedurre Dio e Dio che si diverte a smontare le loro richieste e a rivelarsi secondo il suo buon volere.

 

Tutta l’epopea del popolo di Israele dà testimonianza di Dio come di qualcuno che si compiace a fare tutto diversamente. Ripercorrendo le numerose avventure della Bibbia, depone i forti e innalza gli umili: presso di lui è una costante. “Ma quello che è stolto per il mondo, Dio l’ha scelto”, scriverà san Paolo (1Cor 1,27).
I secoli passano: è una catastrofe dopo l’altra. Il popolo di Israele si immagina all’apice della gloria quando tutto viene distrutto: il paese, il tempio, il re. È il tempo dell’esilio. Tutto sembra perduto, ma Dio suscita ancora una speranza promettendo che scorreranno fiumi di acqua viva e che le ossa inaridite riprenderanno vita (cf. Ez 37,4). Questo Dio è proprio “folle” e bisognerà leggere tutta la Bibbia per capire fino a che punto.

Ed ecco Gesù

Tale Padre, tale Figlio: anche lui mette tutto sottosopra. Lo si vede bene, Gesù vive della
stessa sapienza. Compare sulla scena della storia quando non lo si aspetta. Follia di Dio, nasce in una mangiatoia, da una famiglia improbabile originaria di un piccolo villaggio della Galilea sul quale nessuno scommette.
È in una piccola borgata costruita sulla riva di un lago, attraversata da mille culture, veicolate dai mercanti che vanno da oriente a occidente, che chiama alcuni uomini a camminare con lui. Ma il suo casting – non meglio di quello di suo Padre – mi sembra una follia. Avrebbe potuto trovare molto di meglio che questi dodici collerici, incostanti, maldestri e paurosi che ci presentano gli evangelisti. Intorno a lui, una corte dei miracoli. Ci si chiede come ciò possa reggere. Sembra nuotare contro corrente. È la sua natura
profonda.
Allo stesso modo Gesù si appassiona ai senza voce. Non sta fermo.
Per parlare del Padre, Gesù fa uscire dal suo cappello da narratore delle storielle da far svenire di rabbia chi sa tutto su Dio.
Solo i piccoli e i poveri capiscono la storia del pastore che abbandona il suo gregge per andare alla ricerca di un animale incosciente del pericolo, di quel padre che lascia suo figlio andare lontano con la metà della sua fortuna e lo accoglie di nuovo senza neppure permettergli di giustificarsi quando ritorna più povero di un mendicante, o di quel contadino stupido che semina senza alcun senso della misura…

Si direbbe che gli piaccia davvero contestare tutto ciò che l’uomo esalta. Il possedere, la conoscenza e l’apparire gli sembrano vanità! Andare verso se stessi basta. Anche nudi, Andare verso se stessi perché un Altro vi si trova in modo permanente Gesù dice che il Regno, la presenza pUra di Dio è vicina a ognuno.
Non ignora di rischiare sempre la vita, tuttavia continua a camminare. Non fa neppure nulla per
evitare la morte. L’ultima sera prima di essere arrestato, raduna chi gli è stato accanto, si mette
in ginocchio davanti a loro e lava loro i piedi. È il mondo alla rovescia: come mai prima d’ora, il
maestro si rivela essere solo un servitore. È un segno. Vorrebbe tanto che lo capissero!
Condividendo il pane in occasione dell’ultima cena, Gesù osa dire: “Ecco: questo sono interamente io. E ora tocca a voi”, Reinterpreta per loro, e fino ad oggi, il rito della Pasqua ebraica. Così. Per Lui, con Lui e in Lui, un mondo nuovo è arrivato.
Lo arrestano, lo condannano sbeffeggiandolo? Gesù chiede a suo Padre di perdonare coloro che
lo uccideranno. Si pensa di confiscargli la vita? Risponde che è Lui a darla. Lo si crede morto, rinchiuso per sempre nel silenzio di una tomba sigillata? Alcuni lo rivedono – ma diversamente – in un giardino, sulla strada verso Emmaus.
Ma cosa ancora? È veramente il figlio di suo Padre! I figli assomigliano ai genitori, si dice comunemente. E in effetti! Pietro non l’ha forse rinnegato? Gesù gli affida la Chiesa. Paolo l’ha
perseguitato? Lo incarica di una missione al di là delle frontiere. Sale al cielo? Più che mai egli
sembra presente ai suoi discepoli mediante il suo Spirito. Gesù fa tutto alla rovescia. La sua sapienza è follia. Ed è in lui -risuscitato – che io credo e spero! Ci trascina in una danza. È libero
come il vento e ci vuole liberi come lui.

 

UNA PAGINA DEL VANGELO PER IL NOSTRO CAMMINO

GIOVANNI 21

Questo ventunesimo capitolo è stato redatto da una mano sconosciuta e aggiunto ai precedenti, alcuni anni più tardi. Il Vangelo poteva concludersi con il capitolo 20: si vedevano i discepoli inviati fino ai confini della terra.

In questo capitolo aggiunto non siamo più nella grande città. Non siamo più sui luoghi della passione o nel cimitero del Golgota.

La scena si svolge su una spiaggia, al lago di Tiberiade.
“Dopo di ciò”, scrive l’autore, che vuol dire “dopo gli avvenimenti di Pasqua” i discepoli avevano ripreso il loro mestiere di pescatori come se la parentesi della loro vita con Gesù si fosse conclusa con uno smacco e un’assenza. L’avevano visto vivo, ma non c’era più.
Li ritroverà misteriosamente nella loro vita più ordinaria, precisamente là dove li aveva incontrati per la prima volta: lui incontra l’uomo sempre al margini della vita. Per inaugurare la sua chiesa, si sarebbe potuto immaginare che li convocasse con un miracolo straordinario nel cortile del tempio, là dove alcuni, ancora sotto shock per la sua morte e resurrezione, avevano scelto di restare.

Invece li ritrova nel loro villaggio. In un altro luogo rispetto a quello in cui lo si sarebbe potuto attendere. Laggiù metterà tutto sottosopra.
Sono rimasti in sette. Avrebbero dovuto essere undici se si tiene conto della morte di Giuda. C’è
Simon Pietro che ha rinnegato Gesù, Tommaso che vuole le prove, Natanaele che consacra la sua vita allo studio della Torah, i due fratelli, Giacomo e Giovanni, per i quali la madre aveva vagheggiato un’ascesa sociale, e due altri discepoli di cui non si conosce il nome. Sono là, tutti e sette, ciascuno con la sua personalità…
Perché non c’erano tutti? Impossibile saperlo. Questa storia però sembra dire che manca sempre qualcuno – e questo è davvero rassicurante – da duemila anni-. Che noia deve essere per il Signore! Già la sera di pasqua, Tommaso mancava all’appuntamento. Ma adesso c’era, mentre altri erano assenti. Matteo, Andrea. Dove potevano essere?
Cosa importa, sembra dire il vangelo.
Anche se sono rimasti in sette, basterà perché con loro il Cristo ricrei una piccola chiesa. La sapienza di Dio consiste sempre nel cominciare con il poco che trova. Capiamolo, per noi!

Avrebbero potuto lamentarsi, criticare gli assenti. È talmente umano, ci riesce così bene! È vero
che ognuno di noi aspira a vivere in comunione con gli altri, a fare della nostra chiesa una vera
comunità. Sogniamo famiglie unite e al completo… Ma passiamo il tempo a lagnarci che è troppo difficile. Molto spesso viviamo a partire da ciò che non esiste, invece di rallegrarci di ciò che è. Spesso usiamo la nostalgia come avvenire. A volte anche la nostalgia di quanto non è mai stato!
In una logica semplicemente umana, i discepoli avrebbero potuto provare pena per la fragilità del gruppo, per il loro numero esiguo e fare il processo a chi mancava. Avrebbero potuto restare a discutere, ma forse allora Gesù non si sarebbe manifestato.
Ci lamentiamo di tante cose: deploriamo il fatto che le chiese si svuotino, rimproveriamo la defezione di coloro che non sono più presenti all’appuntamento, ci rammarichiamo di non essere capaci di radunare più fedeli, critichiamo senza pudore le infedeltà di quelli che mancano, gridiamo allo scandalo, biasimiamo i limiti e le imperfezioni di quelli che non ci sono…
Una sapienza essenziale si rivela nel racconto di Giovanni: se perdiamo il nostro tempo a lamentarci di noi stessi o delle indigenze e delle assenze degli uni e degli altri, non partiremo mai per la pesca! Ciò che rende pesante il cammino della chiesa, scriveva Madeleine Delbrêl, è il “peso dei cristiani che non partono”.
Lasciarsi abitare dalla sapienza, significa credere che Cristo ci chiede di impegnarci gli uni con gli altri, e che a partire da poco sa ottenere molto. Bisogna rileggere i magnifici racconti della moltiplicazione dei pani (cf. Mt 14,13-21;15,29-39) e la bella parabola del granello di senape (cf. Mt 13,31-32). Lo Spirito ci ispira la convinzione che Dio è capace di fare tanto con poco.
Questa convinzione è al cuore dell’esperienza cristiana. Solo lo Spirito può aiutarci a entrare
nel modo di fare di Dio. E noi potremmo fare altrettanto. Senza aspettare altro.

Smettiamo quindi di voltarci indietro, di rimpiangere i bei tempi andati! Rinunciamo a credere che se ci sono meno preti e religiosi è perché le famiglie non pregano più come prima, che l’erba del giardino del vicino è più verde della nostra; che la nostra vita è difficile perché non è come l’avremmo voluta… Se passiamo il nostro tempo a voltarci indietro, rischiamo di essere trasformati in statue di sale come la moglie di Lot nel racconto mitico della Genesi (ef. Gen 19,26).
La sapienza dello Spirito ci insegna che non vi è altro luogo di santità – cioè di salute – e di vocazione -vale a dire di compimento di ciò che siamo – al di fuori della vita che ci è data qui e ora, poiché “se ci mancasse qualcosa, Dio ce l’avrebbe già data” diceva Madeleine Delbrèl,
Quando impariamo a guardare e ad amare l’oggi della nostra vita, l’avvenire diventa possibile. Quando impariamo a vedere gli avvenimenti e gli incontri come sono e non come vorremmo che fossero, siamo sulla strada che conduce alla pace. Senza questo, la nostra vita si svolge in una permanente lotta immaginaria. Passiamo il nostro tempo a difenderci da chimere: finiamo per assomigliare a Don Chisciotte che si batte contro mulini a vento che lui scambia per giganti. La
sapienza disarma i nostri rimpianti e le nostre rimostranze. Apre in noi occhi capaci di vedere
nella notte, di considerare con il suo sguardo gli altri e la vita del mondo. Ci insegna a guardare
coloro che la vita mette sulla nostra strada e a cercare insieme la via del possibile.
I discepoli giravano a vuoto quando improvvisamente Pietro gridò: “Io vado a pescare” (Gv
21,3). In questa frase, nessuna consultazione. Nessun invito a seguirlo. Si alzò e comunicò
il suo desiderio; ricordò loro il suo mestiere di sempre.
Gli altri si sono sentiti immediatamente coinvolti e si sono messi a rimorchio del suo sogno:
“Veniamo anche noi con te” (Gv 21,3). Si sono imbarcati con lui. Quei sette poveri diavoli sul
loro guscio di noce, senza ancora saperlo, stavano per aiutarsi ad attraversare la loro notte interiore…

da “UNA SAGGIA FOLLIA” di Raphaël Buyse